Intervista al Professor Fanchiotti su Radio Vaticana: “Nuove vie di riabilitazione: a Verona il Premio Palmieri 2016”

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Intervista al Professor Fanchiotti su Radio Vaticana: “Nuove vie di riabilitazione: a Verona il Premio Palmieri 2016”

Qui di seguito il link e l’audio dell’intervista di Radio Vaticana al Professor Fanchiotti. 

Si tratterà del metodo Snoezelen e della sua applicazione, della musicoterapia e dei pazienti coinvolti.

 

 

“Sono Priscilla Menini, Sara Bertoneri, Stefano Spaderi e Duccio Simbeni i vincitori del “Premio Palmieri” 2016, il riconoscimento che l’Associazione per lo sviluppo del metodo “Snoezelen” – Onlus di Verona assegna ogni anno, tramite una borsa di studio, a studenti del Conservatorio della città veneta iscritti al corso biennale sperimentale di specializzazione in Musicoterapia. La premiazione, questo sabato, in ricordo di Leonardo Palmieri, giovane musicista scomparso in un incidente stradale nel 2008. Giada Aquilino ha intervistato il prof. Gianluigi Fanchiotti, fondatore e presidente dell’Associazione, che spiega cosa sia il metodo “Snoezelen”.

R. – Il metodo “Snoezelen” è un nuovo sistema di riabilitazione per la disabilità cognitiva e intellettiva. E’ una parola olandese, che tradotta in italiano significa “esplorare”, ma anche “rilassare”. E’ un’intuizione di due terapisti olandesi, che hanno trattato dei pazienti con deficit cognitivi e intellettivi in una stanza multisensoriale e si sono affidati al linguaggio dei sensi, al linguaggio vicario dei sensi: vicario cioè a quello che questi bambini o giovani adulti non esprimono, quindi vicario ai silenzi del deficit cognitivo.

D. – In particolare, dunque, a chi è rivolto?

R. – E’ rivolto a tutti quei pazienti che hanno deficit cognitivi e intellettivi: a pazienti con sindrome di Down, ma questo metodo è applicato anche alla malattia di Alzheimer. Si tratta di verificare i miglioramenti che si possono ottenere non solo in quella che noi chiamiamo plasticità neuronale, ma anche in tutti quei disturbi correlati che i bambini hanno: sono bambini che hanno dolore, che hanno spasmi, che hanno sensazione di malessere. Per cui si rilassano e quindi vengono a migliorare nella percezione, nel comportamento e nella comunicazione.

D. – Una delle strade seguite è quella della musicoterapia. Perché?

R. – Perché la musica è una cosa magica: li trasforma, li calma, li incita a esprimere tutto ciò che non è stato espresso. La musica ha un’azione rilassante e non si ricorre quindi alla terapia farmacologica con questo sistema. Bambini che sono magari ipercinetici, ipertonici, che urlano, mettendoli in questa stanza e facendo scegliere loro il percorso di una terapia – che noi chiamiamo “dieta sensoriale” – prendono una certa ritmicità. E’ chiaro che il musicoterapista deve avere una grande empatia: con la sua musica, si inventano canzoni, si forma un coro delizioso, che li calma, che li trascina, che li affascina.

D. – Il rapporto col paziente quanto dà poi anche agli operatori?

R. – Agli operatori dà moltissimo: nel senso che gli operatori acquistano un “volto amabile”. Giovanni Paolo II una volta agli operatori sanitari, in un congresso, disse di essere appunto “il volto amabile” di fronte ai pazienti. Quindi, gli operatori hanno la capacità di farsi carico di questa patologia, direi quasi che si arriva ad una dignità fra tutti i pazienti: attraverso questa nuova comunicazione riusciamo a capire qual è il dolore, qual è la sofferenza e migliorano anche il loro stato di comprensione verso gli altri. Anche un piccolo segno, anche un piccolo gesto, anche il brillare degli occhi, anche una tachicardia può far capire che hanno acquistato qualche cosa, che hanno comunicato, non attraverso il linguaggio verbale, ma attraverso il linguaggio del corpo e delle espressioni.”