Confronto in terapia: musica e terapia antalgica

Introduzione al Convegno “SUONO…COME VIBRAZIONE” – Auditorio Fondazione Cattolica, 13 Ottobre 2018
19 ottobre 2018
Ad un caro Amico
15 giugno 2020

Confronto in terapia: musica e terapia antalgica

Intervista Prof. Dott. Fanchiotti – Partecipazione a tesi di Laurea Magistrale in Musicoterapia

Confronto in terapia: musica e terapia antalgica

Grazie della richiesta di confronto per chiarire, in un certo senso i moti dell’anima, del loro vissuto e dell’esperienza tra due professioni che fanno di quella virtu’ empatica una metodologia inizialmente intuitiva a cui segue studio, conoscenza, metodo ed una capacità terapeutica.

Entrambi nella professione si prefiggono di essere attenti alla ricerca di umanità, osservando i volti, gli sguardi, il comportamento, il sorriso o le lacrime ed interpretare le sofferenze della persona che ha il suo vissuto, che non ci deve sfuggire, decidendo successivamente sia l’intenzione musicale coniugata con quella terapeutica.

Penso che in una scrittura musicale si possa anche ricostruire e non sempre la storia interiore della vita del compositore. Analizzeremo se potrà avere influenze sulla condotta e sullo stile del metodo terapeutico.

La stessa impressione, come mi chiede, l’ho immaginata e constatata in altre composizioni artistiche, nel cinema, nelle espressioni poetiche e letterarie.
Come si esprime in molti suoi saggi, il raffinato psichiatra Eugenio Borgna, che anch’io condivido, in ogni esperienza creativa, sia musicale che letteraria, nell’intimo dell’autore riaffiora talvolta l’ombra dell’ansia e dell’angoscia.
Si manifestano con chiarezza le caratteristiche sintomatiche, particolari e faticose dell’interiorità.
Talvolta invece sono invisibili agli sguardi indifferenti ma che non sfuggono all’empatia del musicoterapista o del medico che si dedica al dolore degli altri.

Sperimentiamo, nella nostra sensibilità, quello che un’altra persona sperimenta, subisce: è come se fossimo nel corpo di chi prova un disagio, una malattia, immergendoci cioè nella interiorità della persona, decifrandone pensieri ed emozioni.
Come caso patognomico potrebbe citare il GRIDO che rappresenta una persona nella quale esplode non solo ansia ma disperazione. È come se il pittore norvegese con le mani nelle orecchie volesse non sentire le rovine nel mondo.

Le consiglio di citare nella sua tesi il libro “Le Voci del mondo” in cui il personaggio Elias Adler è dotto di una grande capacità di improvvisazione ed esecuzione musicale ma l’autore del personaggio fa capire come nel modo di fare musica si possa intravedere la presenza dell’angoscia.

E come se l’esplosione della musica e i turbamenti dell’anima si alleassero. Sono esempi di esperienza musicale che ci fanno riflettere sull’impostazione del suo elaborato.
Mi chiede di altri esempi e del mio pensiero come forme artistiche siano connessi con il sé interiore.
Le consiglio anch’io di citare il pensiero di Thomas Mann, non da tutti condiviso, sulle opere di Dostoevskij dove trasportare la sua malattia “certe conquiste dell’anima e della conoscenza non sono possibili senza malattia e follia”.
Cosi posso citare altri artisti come Goya, Kubin Grosz, che nelle loro opere esprimono i sintomi e i sentimenti inconfondibili dell’angoscia come giustamente fa notare nei suoi scritti Eugenio Borgna.
A me era piaciuto, da studente, un film “Il settimo sigillo” e negli anni successivi “Il posto delle Fragole” che le consiglio di rivedere e di trarne qualche spunto. Il regista Ingmar Bergman si fa trasportare dall’angoscia della morte e dal tentativo di ritardarla quanto più possibile tradendo cosi nella sua opera il suo vissuto personale.
Mentre scrivo mi ritorna in mente in letteratura ancora Dostoevskij nella figura del principe Myskin che le consiglio di approfondire per arricchire la sua tesi.

Non confondiamo certamente il genio con la malattia. I loro capolavori sono espressione del loro genio e non certamente di un disturbo somatico che di solitudine interiore.

Fatte questa premesse, anche e forse più letterarie, non ho completamente risposto alla prima domanda su quanto concerne il confronto tra tecnica pura musicale in favore di quella in cui è evidente un vissuto introspettivo dei grandi maestri. Sentimenti ed anche esperienze del momento storico in cui sono vissuti.
Si accorgerà che sono più attento e magari più incline ad ascoltare o leggere capolavori nei quali riesco a cogliere il così detto vissuto interiore dell’autore cioè i conflitti del pensiero o dell’animo o delle vicende del mondo esterno o del periodo storico nel quale vive e lavora.

So individuare anche io, l’andamento lento e a mio avviso ripetitivo, delle suonate per violino di Johann Sebastian Bach come una continua stratificazione del tempo.

In letteratura le ripresento l’opera di Dostoevskij nella figura del principe Myskin che si immedesimava nei personaggi che incontrava nelle loro interiorità specie nella malattia epilettica.

Legga e citi nel suo elaborato con quale gioia lo scrittore descrive le crisi epilettiche per documentare come il vissuto traspiri in tutte le sue opere.
Un altro esempio in letteratura, che può citare: un avvenimento drammatico comparso durante la stesura di un romanzo, avrà certamente modificato i sentimenti di uno scrittore, vissuto interiore ma anche come avvenimenti ed esperienze del mondo esterno.

La morte di un fanciullo alla scuola inglese del dottor Blimber fece piangere mezza Inghilterra. L’episodio lo può trovare in Dombey and Son. Mi riferisco a Charles Dickens che ha combattuto e vissuto in un periodo in cui la rivoluzione industriale ha creato povertà, miseria ed ingiustizie sociali alle quali l’autore si è opposto nelle sue opere con sensibilità e commozione.

Ma la risposta più difficile da esprimere in scrittura ma non da mettere in pratica come protagonista è il dialogo terapeutico con la malattia che lei è chiamato a trattare.

Cosa fare specie se la malattia si presenta ad una persona cara, quali parole o silenzi o verità fa nascere nei terapisti e soprattutto quali emozioni fa nascere in ciascuno di noi? Mi viene in mente, per aumentare il contenuto descrittivo della sua tesi, come Patrizia Runfola descrive come suonava il suo archetto alla sorella ammalata con un amore e dedizione che nemmeno la malattia poteva bloccare.
Le riporto un frammento di una pagina scritto ma che si trasforma in musica e melodia. A mio avviso può essere di guida e di modello ad un concetto di musicoterapia nelle sue complesse componenti: “Suonavo per lei tra quei bagliori arrossati come occhi che hanno pianto a lungo e calmavo le sue furie con i movimenti lenti e cadenzati del mio archetto, con l’andamento chiaro e composto di quelle note che costruivano sempre lo stesso disegno di suoni che prendeva posto nell’anima. […] A quelle note affidavo i suoi tormenti, i suoi abbandoni, i suoi digiuni si placavano al suono della mia viola con la quale creavo intermezzi alle scene della nostra vita”.

Di questa pagina ho tralasciato alcune parole delle frasi originali ma intendo ugualmente esprimere la mia convinzione che con questa esperienza interiore la scrittrice amorevole terapeuta abbia abbinato la tecnica musicale all’emozione confortevole della sua anima.
Credo e sono convinto principalmente, che la passione per la propria professione, l’amore che in essa si pone, la consapevolezza della sua utilità trasformino una tecnica musicale in una armonia che diventa terapeutica.
Ogni paziente ha la sua storia, le sue paure, i suoi silenzi, le sue aspettative. Noi le cogliamo, le condividiamo, entriamo nei loro pensieri e talvolta anche nei loro corpi. In quel momento acquistiamo un altro senso, oltre a quelli comunemente conosciuti, la sacralità dell’empatia, il senso del sacro. In quel momento è come pregare con il paziente, musica come preghiera salvifica e terapeutica.

Credo che esista un regolatore neurofisiologico che regoli l’emozione del terapista, la distacchi dalla pura tecnica e che come guidato da una forza mistica completi o modifichi istintivamente la sua composizione.

La malattia che condividiamo con pazienti, quando poi diventa mortale, crea in noi un senso di pietà e di amore. Come si comporta il terapista? Diverse sono le esperienze in cui si può trovare, da quelle più impegnative dove i casi possono sembrare difficili e crudeli. Entra nel loro ambiente, esprime solidarietà e sicurezza, diventa coinvolgente, solleva la mente, la distrae, tutte le attenzioni sono rivolte su di lui, sulla sua grazia.
Certamente ci vuole una scuola, altamente qualificata, maestri capaci di trasmettere tecnica, metodo, linee guida, ritmi, pause, silenzi.

Fortunatamente le espressioni artistiche musicali sono diverse, in luoghi apparentemente più distensivi. Il terapista sa dove porre il suo talento, tecnica ed anima all’unisono.

Ho terminato il mio confronto con un musicoterapista, elaborato notturno forse incompleto nel quale scrivendo di empatia non abbiamo disturbato le cellule a specchio che ben conosce. Spero di avere risposto alle sue interessanti domande che mi hanno convinto della sua futura professione per la quale mi sono, in passato recente, adoperato per favorirla, per incrementarla, per non considerarla un’ancilla della professione in favore dei disagi sia fisici ed interiori, ma protagonista a pieno merito.

Mi fa piacere farti conoscere una poesia di Rainer M. Rilke:
“Non dimenticare mai di formulare un desiderio, Malte.
Mai rinunciare ai desideri. Io credo che non ci siano adempimenti, ma desideri che durano a lungo, tutta la vita, tanto che non potremmo aspettarne l’adempimento”

Citazioni:
Eugenio Borgna, Vita e Parole “Cosi’ curo con il cuore”. Corriere della sera, 06/02/2020
Dostoevskij, F. L’Idiota. Einaudi, Torino, 1972
Runfola, P. Lezioni di tenebre, Casagrande, Bellinzona, 2001
Arnaldo Cherubini, Appunti sul segno del patologico nella letteratura di fine secolo. Tipografia senese, Siena, 1993
Fanchiotti, GL. Lezioni di neuroanatomia, Anestesia e rianimazione. Universita’ di Verona, 1990